Caolino, talco e turismo – queste nei secoli le risorse della miniera Garida al Forno di Coazze

La strada che da Forno sale agli Alpeggi Sellerì e al Rifugio Fontana Mura in qualche tratto è intagliata nella roccia e mostra le venature scure di grafite che indussero a fare dei sondaggi che non dettero esito. Dall’altra parte del Sangone, in regione Meinardo si estraeva il ferro e forse oro e argento. Tutto questo è rimasto nella tradizione orale con pochi riscontri. Ma sulle sponde del Ricciavrè, la testimonianza del passato minerario del Forno è ancora visibile e visitabile, si tratta della Miniera di Garida. Chiusa nel 1968 dopo una secolare attività, ma oggi attrezzata per le visite e pronta a mostrare circa un chilometro di gallerie, su diversi livelli e di diverse epoche. Offrendo alla curiosità dei visitatori non solo minerali, ma anche gli animali del buio e dell’umido e i vagoni e gli attrezzi dei minatori.

La Miniera di Garida oggi

L’antica miniera di talco di Garida, situata in zona Forno di Coazze a circa 1070 m, ha ottenuto l’autorizzazione e la concessione ad uso turistico del sito dalla Regione Piemonte. Dopo gli opportuni interventi di ripristino e di messa in sicurezza è stata inaugurata il 16 luglio 2015 ed è oggi aperta al pubblico per scopi turistici e scientifici. Domenica 30 maggio in occasione della XIII Giornata Nazionale delle Miniere è possibile visitare la miniera.

La miniera, tra le più antiche delle Alpi, si disloca, grazie a gradini e scale, su più livelli, ed è possibile visitarla per oltre mille metri, osservando l’evoluzione della pratica di estrazione del talco, confrontando le prime gallerie di fine ‘800 con quelle più recenti risalenti al 1968, anno in cui cessò l’attività.

Il complesso minerario si presenta con un’area esterna allestita con una struttura in legno destinata allo scarico del materiale prelevato, i carrelli originali utilizzati per il trasporto del talco e alcuni esempi di rocce e minerali reperiti all’interno della miniera. L’interno della miniera è stato rimesso in sicurezza mantenendo però la struttura originaria, in modo che, con l’ausilio di torce e caschetti, permette al visitatore di rivivere quella che era l’attività dei minatori.

La storia e l’attività

L’inizio dell’attività mineraria si faceva risalire al 1888, alla richiesta di concessione della ditta “Eredi del Cav. Giovanni Tron”. Ma nel 2015 il direttore Luca Mana durante le ricerche preparatorie della mostra sulle porcellane piemontesi del Settecento in allestimento al Museo Accorsi-Ometto di Torino trovava nell’archivio della Biblioteca Civica torinese una relazione del 31 dicembre 1783 in cui il conte Ludovico Birago di Vische ricordava l’impiego della “terra di Giaveno” nella composizione delle sue porcellane. Fondatore della manifattura di ceramiche di Vische, il conte aveva avviato tra il 1765 e il 1768 la prima produzione di porcellana a pasta dura in Piemonte, ottenuta mescolando diversi tipi di caoliniti provenienti da Castellamonte, Baldissero e, appunto, dalla Val Sangone, probabilmente dalla miniera Garida, che è in territorio di Coazze, ma la località più grande e importante faceva da riferimento.  Capita ancora adesso coi “funghi di Giaveno” che sono raccolti in parte consistente nei boschi coazzesi.

 Nel Settecento il caolino serviva per la produzione della porcellana, che nelle corti reali europee, proprio per la sua importanza, prese il nome di «Oro Bianco». Trecento anni fa Torino divenne famosa in tutta Europa per le sue raffinate porcellane,  capolavori realizzati dalle manifatture di Vische e di Vinovo, che oggi si possono ammirare nelle collezioni di Palazzo Madama e del Museo Accorsi-Ometto.

I Tron a fine Ottocento lavorarono alla estrazione del meno prezioso talco, realizzando la galleria detta  “Vecchia Garida”.  La Siget  “Società italiana grafite e talco” ottenne nel 1925 una concessione in regione “Casàs del Forno”, realizzò la galleria “Nuova Garida” e una teleferica collegante la miniera alla località Dirotto, di qui il minerale scendeva al “mulino del talco” di Sangonetto.  Nel 1933 la Siget venne messa il liquidazione e le attività di ricerca subirono una momentanea sospensione fino a quando, due anni più tardi, l’area precedentemente investigata suscitò gli interessi congiunti della società Talco e Graffite val Chisone e del ragionier Ernesto Fea, titolare di una ditta di prodotti minerari. Nonostante gli scarsi risultati conseguiti, dal 1936 al 1942 proseguirono le attività di ricerca presso  “Piccere – Casàs del Forno”, ripristinando le antiche gallerie e scavando nuovi tratti lungo i filoni di talco individuati. L’attività, fermata dalla Seconda Guerra mondiale, riprese nel dopoguerra, con un’interruzione dovuta all’alluvione del 1947, ma regolarmente dal 1948 al 1955. l’attività subì un brusco arresto, fino all’annullamento dell’esportazione nazionale. Nell’immediato dopoguerra la ripresa dell’esportazioni rinnovò l’interesse per la ricerca del talco nel Pinerolese e nella vicina Val Sangone ma il nubifragio del maggio 1947 ne segnò un ulteriore interruzione. L’attività riprese regolarmente nel 1948 e si intensificò fino al 1955. Alla fine degli Anni Cinquanta la mancata individuazione di nuovi giacimenti e l’esiguità di quelli già scoperti, unita alla concorrenza estera, avviarono la miniera al declino. L’attività, rilevata dalla ditta Parolaro-Fea spa proseguì fino al 1968, anno della chiusura definitiva.

L’ingresso della miniera vecchia, questa e le altre foto dell’articolo sono tratte dalla pagina Facebook della Miniera di Garida
La miniera è stata riallestita e adattata alle visite. Un momento della inaugurazione il 16 luglio 2015

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