Avigliana, dove Primo Levi ha scritto “Se questo è un uomo”

Dal 21 gennaio 1946 al 30 giugno 1947 Primo Levi, sopravvissuto ad Auschwitz, lavora come chimico nello stabilimento di vernici Duco-Montecatini di Avigliana, torna a Torino solo nei fine settimana ed è ospite nella foresteria, dove passa le serate nella stesura del suo libro testimonianza “Se questo è un uomo”, uno dei romanzi fondamentali della letteratura del Novecento.

Nel racconto “Cromo” de “Il sistema periodico” Levi scrive: Io ero ritornato dalla prigionia da tre mesi, e vivevo male. […] cercavo affannosamente lavoro, e lo trovai nella grande fabbrica in riva al lago, ancora guasta per la guerra, assediata in quei mesi dal fango e dal ghiaccio. Nessuno si occupava molto di me: colleghi, direttore ed operai avevano altro da pensare, al figlio che non tornava dalla Russia, alla stufa senza legna, alle scarpe senza suole, ai magazzini senza scorte, alle finestre senza vetri, al gelo che spaccava i tubi, all’inflazione, alla carestia, ed alle virulente faide locali. Mi era stata benignamente concessa una scrivania zoppa in laboratorio, in un cantuccio pieno di fracasso e di correnti d’aria e di gente che andava e veniva con in mano stracci e bidoni, e non mi era stato assegnato alcun compito definito; io, vacante come chimico ed in stato di piena alienazione (ma allora non si chiamava così), scrivevo disordinatamente pagine su pagine dei ricordi che mi avvelenavano, ed i colleghi mi guardavano di sottecchi come uno squilibrato innocuo.” (Primo Levi, Cromo ne Il sistema periodico, in Opere complete, I, p. 971)

“Era stato assunto come chimico nei laboratori della fabbrica di vernici Duco (E. I. du Pont de Nemours & Co.), del gruppo industriale Montecatini. L’impiego durò 16 mesi; Levi li trascorse quasi interamente ad Avigliana, dove alloggiava nella «Casa scapoli» della ditta. Qui, dopo il lavoro e nelle pause per il pranzo, avviò la prima stesura di “Se questo è un uomo”. Il 30 giugno 1947, senza preavviso, lasciò l’impiego”. (Album Primo Levi, a cura di Domenico Scarpa e Roberta Mori, Torino 2017) Nella caotica quotidianità della fabbrica di vernici le sue incombenze non erano sempre pressanti, perciò poteva dedicare parte del tempo alla scrittura; con ogni probabilità alcuni capitoli sono stati redatti a mano, altri battuti a macchina – in particolare la sera, nella foresteria della fabbrica, dove restava dal lunedì al venerdì. Il ticchettio notturno della macchina, racconterà, era visto con sospetto dai compagni di lavoro: poiché era tornato da poco dalla Russia, qualcuno lo credeva un agente sovietico.

Primo Levi accanto alla prima edizione di “Se questo è un uomo”. Il libro, intitolato inizialmente “I sommersi e i salvati” (titolo che recupererà per il suo ultimo scritto), venne rifiutato da Einaudi e  l’autore fu costretto a rivolgersi alla piccola casa editrice “Francesco De Silva”, di Franco Antonicelli, che gli dà il titolo attuale e lo stampa nell’autunno del 1947 in sole 2500 copie.

In un’intervista radiofonica alla RAI, nel 1982, dice: “La mia futura moglie [Lucia Morpurgo] abitava a Torino e io abitavo ad Avigliana e lavoravo ad Avigliana in una fabbrica semidistrutta della Montecatini, in cui ho imparato a fare vernici. […] Mi affidavano dei problemi tecnici, io li risolvevo meglio che potevo, delle volte non li risolvevo, non riuscivo a risolverli, ma comunque mi sentivo impegnato corpo e anima in questo lavoro e insieme anche in un altro lavoro, perché simultaneamente, mi stupisce adesso ricordare come potessi fare tre cose cosi diverse fra loro simultaneamente, ma appunto quando si è giovani si riesce a fare molte cose insieme: a fare il fidanzato, a fare il chimico e a scrivere un libro“.

11 aprile 1987, la strana morte di Primo Levi

Primo Levi morì sabato 11 aprile 1987 nella casa di Corso Re Umberto n.75  a Torino, era la casa di famiglia, dove era nato il 31 luglio 1919. L’aveva lasciata solo dal 1942 all’ottobre del 1945 prima per lavoro a Milano, poi per fare il partigiano in Valle d’Aosta e infine, contro la sua volontà, come deportato a Fossoli e Auschwitz e per il lungo viaggio di rientro, descritto ne “La tregua”. La portinaia Iolanda, che gli aveva consegnato poco prima la posta, lo rinvenne al fondo della tromba delle scale. Molti indizi portavano a pensare a un suicidio. La esperienza del campo di sterminio di Auschwitz, continuamente testimoniata e mai del tutto superata, le condizioni di salute sue e della anziana madre, i tentativi di revisionismo a cui aveva dovuto ribattere, il sentirsi colpevole per essere sopravvissuto (tesi sviluppata nell’ultimo libro “I sommersi e i salvati”). Aveva detto all’editore Giulio Einaudi di non riuscire più a scrivere, di contro la lettera spedita pochi giorni prima all’amico scrittore Ferdinando Camon era piena di progetti futuri. Venne anche avanzata l’ipotesi della disgrazia, Levi soffriva di capogiri e vertigini e potrebbe essere caduto accidentalmente. Quel che è certo è che, se fu suicidio, fu un gesto improvviso, frutto della depressione e di un momento di disperazione.

Primo Levi nel 1940

Nel 2017, in occasione del trentennale della scomparsa di Primo Levi, l’Associazione Circolarmente di Avigliana ha curato una ricerca finalizzata a individuare, nella Avigliana di oggi, i luoghi in cui Levi ha vissuto nel periodo trascorso lavorando per lo stabilimento Duco-Montecatini, dismesso nel 1965. Frutto di quella ricerca è un percorso visitabile, le cui tappe sono segnalate con la targa “I luoghi di Primo Levi”, tra questi la foresteria Nobel, chiamata scherzosamente “Casa scapoli”, dove completò nel gennaio del 1947 la prima stesura di “Se questo è un uomo”, testimonianza pacata, ma lucida e insieme terribile del bene e del male di cui siamo impastati.

Portineria e mensa: «Avrei avuto diritto a consumare la cena nella mensa aziendale. Vigeva ancora il razionamento della carne e del burro: quel diritto non era un piccolo privilegio» [da “Calze al fulmicotone” ne “L’altrui mestiere”]

Foto della Associazione Circolarmente di Avigliana, tratte dal sito della Fondazione Primo Levi, che ringrazia Davide Bucci, ideatore della ricerca e autore degli scatti, e Maria Antonietta Fonnesu.

Scorcio del suo laboratorio: «Mi era stata benignamente concessa una scrivania zoppa in laboratorio, in un cantuccio pieno di fracassi e di correnti d’aria» [da “Cromo” ne Il sistema periodico]
Foresteria: «Questo scribacchino maniaco che disturbava le notti della foresteria scrivendo a macchina chissà che […]» [da “Cromo” ne Il sistema periodico ]

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