4 novembre 1945, il Sangone in piena non ferma il Cardinale e l’inaugurazione dell’Ossario

Finita la guerra contro i nazifascisti, nel maggio del 1945 comincia per i partigiani un’altra guerra, quella contro l’oblio. Come in altre valli, in Val Sangone centinaia di persone, soprattutto partigiani, ma anche civili, sono morte, sepolte alla belle meglio, in fosse comuni, in luoghi sperduti. I tedeschi impedivano per giorni il recupero dei fucilati, arrivarono a vietare la benedizione dei cadaveri. I “ribelli” dovevano restare anonimi, la loro identità, la loro memoria cancellata. Nonostante questo, la buona volontà di alcuni, come Maria Riva che riuscì a identificare i fucilati del maggio ’44 a Giaveno, e le indicazioni dei compagni consentirono di riesumare le vittime di queste sepolture sparse e nascoste. L’operazione durò tutta l’estate, spesso furono i familiari a dover riconoscere i caduti. Cele Magnone ritrovò il fratello Sandro, la mamma ritrovò il figlio Renato Ruffinatti. Momenti strazianti.  

Molti dei partigiani caduti provenivano da ogni parte d’Italia, sorpresi nelle caserme l’8 settembre ’43 e impossibilitati a tornare a casa. Prevalse l’idea di dar loro onore e sepoltura accanto ai compagni di lotta, nei luoghi dove avevano combattuto fino al sacrificio estremo. Giuseppe Falzone, comandante della brigata “Sandro Magnone” si fece promotore e realizzatore di questa volontà, pensando a un monumento ossario, che sorgesse a Forno di Coazze, nei luoghi presidiati dalla sua brigata . Nei giorni che seguono la smobilitazione egli propone ai partigiani della sua brigata di versare una parte della modesta indennità di fine operazioni, i partigiani accettano e  si tassano, dopo aver ritirato le spettanze, per costruire l’Ossario. Una decisione, un esempio forse unico, subito dopo la guerra di liberazione, nella fase di ritorno alla vita civile. Altri contribuiranno, famiglie agiate come i Sertorio e i Valobra, ma l’iniziativa parte da questi uomini che nei venti mesi di vita partigiana sono stati compagni di lotta dei Caduti.

Falzone del Barbarò Giuseppe

(Breme – PV, 8 aprile 1916  + 1980)

Ufficiale di carriera (tenente di fanteria, 112° Piacenza e 151° Sassari), giunge in Val Sangone all’inizio del 1944 e aderisce alla Resistenza. Si distingue nella difesa dell’alpeggio Sellerì durante il rastrellamento del 10 maggio 1944, dove viene anche ferito ad una gamba.

Dopo la morte di De Vitis (giugno 1944), viene scelto come comandante della Brigata “Sandro Magnone”. Falzone, più organizzatore che guerrigliero, dà alla Brigata un’impostazione difensiva con l’obiettivo di garantire il più possibile la sicurezza degli uomini, già decimati  e duramente provati dai precedenti combattimenti. Essi vengono divisi in battaglioni, distaccamenti, squadre e nuclei. Sul piano organizzativo, la formazione partigiana diventava così una brigata modello, efficiente e disciplinata, in buoni rapporti con la popolazione locale. Subito dopo la guerra, si fa promotore della costruzione dell’Ossario dei Caduti di Forno.

Giuseppe Falzone, a sinistra, il giorno della inaugurazione dell’Ossario. Sullo sfondo i loculi ancora privi di lapidi, di fronte i parenti delle vittime.
Nello scontro con i rastrellatori, il 10 maggio Falzone venne ferito ad una gamba e venne ucciso Sandro Magnone, a cui verrà intitolata la brigata.

Si costituisce un Comitato promotore, composto dai comandanti Giuseppe Falzone per i partigiani, da Cele Magnone per le famiglie dei Caduti e dal notaio Guido Teppati per le pratiche legali. L’ingegnere Coticoni è incaricato di elaborare il progetto e già nei primi giorni del giugno 1945 i lavori hanno inizio, eseguiti dalla ditta Croce di Giaveno. I morti nel frattempo disseppelliti, vengono ricomposti, avvolti in un lenzuolo e adagiati in bare di zinco. Queste, a decine, sono trasportate nelle chiese di Forno e di Giaveno. Nel breve spazio di cinque mesi viene portata a termine la costruzione dell’Ossario e dopo numerose cerimonie religiose e civili nelle chiese e nelle piazze della valle le bare di novantotto Caduti partigiani e civili ritornano nella conca della Ferria, per essere tumulate nell’Ossario. Alcune contengono, malgrado le ricerche poi continuate negli anni, salme non identificate. Il loculo di Enrico Valobra, morto deportato è vuoto, i famigliari vi depositeranno una sacchetto di terra del lager di Mauthausen. Sulla cappella centrale, sotto la campanella, corre la scritta “Usque ad finem et ultra comites  – Compagni fino alla fine e oltre”, un motto che è perfetta sintesi espressiva dell’iniziativa. Ma sul frontale dell’Ossario mancano le lapidi di marmo con nome, data di nascita e di morte delle vittime. Si spera di poterle murare per il giorno della consacrazione. Non sarà possibile farlo. Negli ultimi giorni di ottobre una pioggia torrenziale e insistente ingrossa il Sangone. La piena del fiume erode le sponde, sgretola i muri di sostegno della stretta carreggiata che da Sangonetto sale a Forno. La strada viene spazzata via per un lungo tratto. Forno è isolata. L’Arcivescovo di Torino Cardinale Maurilio Fossati, il generale Alessandro Trabucchi, comandante del C.V.L., autorità civili, militari e religiose, tutti i comandanti e partigiani della Val Sangone  e centinaia di valligiani superano il tratto senza strada grazie al canale che porta le acque alla centrale Prever, poi scendono da Forno alcuni giovani con un carretto e il Cardinale e Don Gallo, pievano della Maddalena, possono proseguire un po’ più comodi. Malgrado l’interruzione, tra difficoltà e disagi, il mausoleo viene consacrato il 4 novembre 1945.  Da quel lontano 1945, la seconda domenica di maggio ed il 4 novembre, dapprima i superstiti e ora quasi solo parenti e discendenti si ritrovano, con le autorità civili e militari, davanti al monumento Ossario e i nomi dei tanti caduti per la libertà risuonano nella verde conca, ora bella e pacifica, a ricordare con i loro cognomi, locali e lontani, italiani e stranieri, quanto sia stato nazionale e globale il movimento partigiano.

Immagini di un fermo proposito

La stessa tenacia con cui avevano resistito ai nazifascisti, i partigiani superstiti la misero nell’onorare i caduti.

Riesumazione delle vittime della Fossa Comune, presso l’Ossario.
I familiari presso la tomba provvisoria di Sandro Magnone.

Passarono mesi a riesumare i compagni sepolti tra le montagne; organizzarono una solenne cerimonia di benedizione a Giaveno, l’8 settembre, anniversario dell’inizio del movimento resistenziale.

Le bare dei caduti raccolte e benedette davanti alla Parrocchiale di Giaveno, l’8 settembre. Poi furono portate all’Ossario.

Fecero costruire in pochi mesi l’Ossario e riuscirono a inaugurarlo nonostante il Sangone avesse portato via un bel po’ della strada che collegava Forno al resto del mondo.

Nonostante la strada interrotta una folla immensa raggiunse l’Ossario il 4 novembre 1945.

Con l’aiuto di alcuni parenti dei partigiani e di Elio Ruffino siamo riusciti a dare un nome ad alcuni dei presenti in due delle foto più emblematiche del giorno della inaugurazione, perché riferite al superamento della strada interrotta. Il corteo giunto sopra la centrale Prever, alle “Pile” ovviò alla mancanza di strada percorrendo il suo canale di alimentazione.

Elio Ruffino: “La foto è stata scattata in località  Pile,  come si può  vedere il Sangone  in piena  aveva eroso  completamente la strada costringendo il  corteo  cardinalizio a percorrere quel tratto all’interno del canale di alimentazione della centrale Prever”. Con l’aiuto del Comitato di Gestione dell’Ossario ho individuato alcuni dei partecipanti.

Dei giovani di Forno si fecero incontro al corteo e ” da ‘ŋ Përtüs” a Ferria almeno il Cardinale e Don Gallo poterono viaggiare sul carretto. Stavo per dire “comodamente”, ma ne dubito visto la strada carrareccia dissestata dalle piogge.

Elio Ruffino: Ritornati sulla carrozzabile il Cardinale  Maurilio Fossati  e il pievano  della Maddalena  Don Giovanni Battista Gallo  hanno preso posto sul “biròcc ” trainato da Biondo,  il cavallo della famiglia dei Celìŋ  condotto da Prudente Versino “Dentìnu  ‘d Celìŋ,  classe 1915. In primo piano  a sinistra troviamo Marcello  Rolando “Marcelìŋ d’ Tìsta ” classe 1925, a destra vicino al cavallo  Ignazio Ruffino “Gnàsi du  Pustìŋ” classe 1918. Dietro all’uomo con la camicia bianca, accanto  a Don Gallo c’è  Paolo Ruffino “Paulìŋ d’ Martìŋ” classe 1924. Dietro al Cardinale, col cappello a tesa larga, s’intravede Alessandro Trabucchi, comandante generale per il Piemonte del C.V.L. Corpo Volontari della Libertà.
Un’ampia scheda sull’Ossario di Forno di Coazze si trova sul sito dei Luoghi della Memoria in Val Sangone, è tratta dalla Tesi di Laurea di Andrea Mortara.

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