25 marzo, il giorno di Dante “miglior fabbro del parlar materno”

Settecento anni senza Dante, morto nel 1321, settecento anni con le sue parole. 12831 singole, 101698 con le ripetizioni, per “creare” nella “Comedia” (“divina” sarà un’aggiunta del 1500) un mondo alternativo a quello ingiusto e corrotto in cui si trova a vivere.

Nel 1301 è impossibilitato a rientrare a Firenze, dove i Guelfi Neri hanno preso il potere e hanno demolito la sua immagine con una sentenza infamante:

«Alighieri Dante è condannato per baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, inique pratiche estortive, proventi illeciti, pederastia, e lo si condanna a 5000 fiorini di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici, esilio perpetuo (in contumacia), e se lo si prende, al rogo, così che muoia» 

(Libro del chiodo – Archivio di Stato di Firenze – 10 marzo 1302)

Ha perso tutto, i beni, la famiglia, per molti la reputazione. Dovrà provare “come sa di sale / lo pane altrui, e come è duro calle / lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale” (Pd. , XVII, vv. 58-60).

Nel 1304 rinuncia a tentare di rientrare con le armi e gli andrà bene, perché i compagni di partito che ci provano vengono massacrati nella battaglia di Lastra, come gli ricorda il trisavolo Cacciaguida “sì ch’a te fia bello / averti fatta parte per te stesso.” (Paradiso , canto XVII, vv. 67-69).

Affida la sua lotta ad altre armi: la sua esperienza, la sua cultura, la sua eloquenza. Abbozza il “Convivio” e poi si dedica anima e corpo al suo capolavoro. Nel Settecento Alfieri svilupperà l’idea che la tirannide si combatte con la poesia, è lo stesso concetto espresso dal detto popolare “Ne uccide più la lingua che la spada”. Dante sembra farlo proprio.  La lingua del potere, della scienza, della Chiesa era il latino. Per scardinare l’opportunismo e la corruzione del ceto dominante da cui si sente perseguitato compie una scelta rivoluzionaria, scrive in volgare. Trasforma il dialetto di Firenze in una lingua capace di reggere una enciclopedia, una “summa” come si diceva allora, del mondo visibile e invisibile. Non esita ad usarne i risvolti più bassi e volgari, scandalizzando suoi ammiratori come Boccaccio e Machiavelli con espressioni come “unghie merdose” e “del cul fece trombetta”. Ma vi attinge anche le sfumature raffinate e liriche che ha usato nella Vita nova e se non basta usa il suo vasto sapere, gli altri dialetti italiani, il francese e il provenzale e, soprattutto nei passaggi teologici più ardui, il latino, che spesso piega al volgare. Si contano nel poema centinaia di latinismi. L’ho chiamato “fabbro” nel titolo, adattando a lui il complimento che Guinizzelli nel Purgatorio rivolge ad Arnaut Daniel, poeta provenzale, perché Dante è veramente un artefice, forgia parole ed espressioni, piega il verbo incandescente alle sue necessità espressive. Usa poche parole per dire molte cose, tende a sfruttare fino in fondo lo spessore dei significati, la molteplicità stessa dei significati , la polisemia, che ogni parola ha in sé. Diventa il padre della nostra lingua italiana. È stato calcolato che più dell’80% del lessico fondamentale italiano è già presente nella Commedia; in particolare il 60% circa delle parole oggi più usate esistevano già prima, e Dante le ha tramandate fino a noi imprimendovi il sigillo dell’ufficialità. Il restante 20% invece l’ha inventato lui, attingendo alle lingue che conosceva o semplicemente alla propria fantasia.

Alcune parole ed espressioni di uso comune come esempi della creatività linguistica di Dante:

bolgia” – Il significato originario di “borsa, bisaccia” è stato travolto e cancellato dall’uso che ne fa Dante chiamando “Malebolge” l’ottavo cerchio e bolgia ciascuna delle fosse in cui si articola. Sparito il significato originale, la bolgia evoca dolore, confusione, disagio, accalcarsi e schiacciarsi di persone, una situazione da contagio covid insomma.

“Contrappasso” – “Chi la fa l’aspetti”, “Occhio per occhio, dente per dente”. Concetti vecchi come il Codice di Hammurabi o la Bibbia. Dante ne fa il cardine etico delle punizioni per dannati e anime del Purgatorio, anche se il termine compare esplicitamente solo nel canto XXVIII dell’Inferno. Il vocabolo lo ricava da san Tommaso, italianizzando il latino  “contrapassum” (a sua volta modellato sul greco  “antipeponthòs” di Aristotele), ma la sua immaginazione lo declina in una pirotecnica varietà di forme, proponendolo sia per contrasto (la pena è l’opposto della colpa, gli indovini che volevano vedere il futuro hanno la testa ritorta indietro) che per analogia (la pena è l’estremizzazione della colpa, i violenti sguazzano nel sangue bollente). 

Fertile”- Fu proprio la Divina Commedia a introdurre questo latinismo nel linguaggio comune. La parola deriva dal verbo “ferre”, ovvero “portare, produrre”. Dante la utilizza nel canto XI del Paradiso: il celebre passo di San Francesco, dove la “fertile costa” (verso 45) descritta dal poeta indica il luogo dove nacque il santo.

Gabbo/gabbare”- Il verbo “gabbare” compare in un’altra celebre opera dantesca, Vita Nova, dove il poeta ripercorre le tappe fondamentali del suo amore per Beatrice. La parola deriva dal francese antico “gaber”, tratto a sua volta dall’antico nordico “gabb”, ovvero “scherzo, beffa”. Il verbo è presente nella lingua fin dai primi del XIII secolo con il significato di “ingannare, prendersi gioco”, sebbene la fortuna del termine, insieme al sostantivo “gabbo”, sia attribuibile alla diffusione degli scritti del poeta. L’espressione ritorna anche nel verso 7 del XXXII canto infernale, dove Dante sottolinea come descrivere il fondo dell’universo (ovvero dell’inferno, posizionato, secondo la struttura dantesca, al centro della terra) non sia una “impresa da pigliare a gabbo”.

Grifagno” – Era un termine proprio della falconeria, è all’incirca un sinonimo di rapace, ma deve la sua fortuna all’uso che ne fece Dante, in particolare nel canto IV dell’Inferno in cui descrive “Cesare armato con gli occhi grifagni”.

Inoltrare” – Un verbo molto usato, ancor più oggi che “inoltriamo email” a tutto spiano, ma è una invenzione di Dante,  fa parte di quella schiera infinita di neologismi danteschi fatti con prefisso “in”. Come “indiarsi”, cioè “diventare dio”; o “inmillarsi”, che significa “moltiplicarsi per migliaia”; e ancora: “ingemmarsi” = “adornarsi luminosamente”; “imparadisare”= “innalzare al Paradiso”. “Inurbarsi” è diventato quasi vocabolo tecnico per urbanisti, storici e architetti.

 “Mesto”- Un termine che compare per la prima volta proprio nella Divina Commedia, in particolare nella cantica infernale. La parola deriva dal latino “maestus”, participio passato del verbo “maerere”, ovvero “essere triste, addolorato”. Dante utilizza questo termine per descrivere la triste condizione dei dannati, definendoli “color cui tu fai cotanto mesti”. (Canto I, v. 135).

Molesto”- Dal latino “moles”, ovvero “peso, fardello”, questo termine è presente in tre canti infernali e in uno del Paradiso. Gli episodi in cui ricorre sono famosissimi, dall’incontro con Farinata degli Uberti e con Pier della Vigna, fino al canto di Cacciaguida, quando il trisavolo annuncia al poeta il futuro che lo attende. Anche in questo caso il termine era già in uso, ma fu certamente il poeta a decretarne la diffusione.

Quisquilia”- Altro termine latino, traducibile con “pagliuzza”, quindi, metaforicamente, con il significato di “bazzecola, inezia, piccolezza”. Sebbene l’uso sia attestato già nel 1300, è ancora una volta Dante a diffonderne il significato moderno nel XXVI canto del Paradiso. Nei versi 76-77 il poeta scrive “così de li occhi miei ogne quisquilia/ fugò Beatrice col raggio d’i suoi”. Il termine, in senso traslato, assume qui il significato di “impurità”: grazie alla funzione salvifica di Beatrice, Dante riacquista così la capacità visiva.

“Tetragono” – Letteralmente quadrangolo, in Dante, durante il dialogo con Cacciaguida nel canto XVII del Paradiso assume il significato di “solido, ben piantato, capace di resistere”, che è arrivato fino a noi.

Dantedì, una data controversa

Nel 2020, in pieno lockdown pandemico, il Consiglio dei Ministri proclamava il 25 marzo “Dantedì”, la giornata dedicata a Dante Alighieri perché  “Dante è la nostra lingua, è l’idea stessa di Italia. E in questi giorni abbiamo bisogno di tenerla viva”, affermava il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, che aveva promosso l’iniziativa.

Il 25 marzo era stato scelto perché molti dantisti lo considerano come il giorno di inizio del viaggio di Dante nell’aldilà. In realtà la data è controversa, alcuni la fissano all’8 aprile e altri ancora al 5 dello stesso mese. Sicuro (per quasi tutti) è l’anno, il 1300, anno del primo giubileo.

Le varie ipotesi si basano naturalmente  su passi del poema, ma la diversa interpretazione porta a date divergenti.  Per chi volesse inoltrarsi nella disputa segnalo questo sito, dove le varie ipotesi sono ampiamente sviluppate. https://www.breviarium.eu/2020/03/25/dantedi-data-sbagliata-ma-buona/.

In breve possiamo dire:

25 marzo – Nel primo canto dell’Inferno Dante specifica le circostanze dell’apparire della lonza, la prima delle tre fiere della selva oscura: sono le prime ore del mattino ed il sole, afferma il poeta, sta sorgendo nella costellazione dell’Ariete.

E ‘l sol montava ‘n su con quelle stelle

Ch’erano con lui quando l’amor divino

Mosse di prima quelle cose belle; (If., I, vv 37-40)

Dunque il viaggio di Dante è da collocare nel tempo dell’equinozio di primavera, quando il sole sorge e tramonta alla stessa ora in tutti i luoghi della terra e segna il momento climatico della rinascita della natura. Era, inoltre, opinione comune nel Medioevo che i sei giorni della creazione del mondo fossero culminati proprio con l’equinozio di primavera, così come la parabola terrena di Cristo, dall’incarnazione alla morte, che segna la rinascita dell’umanità dal buio del peccato, fosse compresa fra due equinozi di primavera.

Successivamente, nel canto XXI dell’Inferno, troviamo la conferma a questa informazione. Nella terzina compresa tra i versi 112-114 il diavolo Malacoda sostiene che i ponti che collegano le bolge del cerchio VIII crollarono al momento della morte di Cristo, esattamente “mille dugento con sessanta sei / anni” e cinque ore prima del colloquio tra il diavolo stesso ed i due pellegrini. Si riteneva comunemente nel Medioevo che Cristo fosse morto al compiersi dei 34 anni dall’incarnazione, fissata per induzione, a partire dalla tradizionale data della natività (25 dicembre), al 25 marzo, data vicina, e non certo per casuale coincidenza, all’equinozio di primavera. Questa informazione non solo conferma l’anno del viaggio al 1300, ma offre uno spunto per individuarne il giorno di inizio. Bisogna, inoltre, ricordare che nel corso del Medioevo non era consuetudine iniziare a contare i giorni dell’anno dal primo giorno di gennaio. I documenti notarili tramandano diversi criteri di datazione, di cui i più comuni sono la datazione “ab nativitade”, cioè a partire dal 25 dicembre, e la datazione “ab incarnatione” cioè a partire dal 25 marzo.

8 aprile – Tuttavia, questo passaggio che confermerebbe il 25 marzo come data in cui è ambientato il famoso incipit della Divina Commedia, potrebbe essere suscettibile di altra interpretazione, per molto studiosi, infatti, Dante intendeva con ciò riferirsi al fatto che la data dell’inizio del viaggio sia quella del giorno della morte di Cristo, non quindi il tradizionale 25 marzo ma al Venerdì Santo, che nel 1300, giunse l’8 aprile. Con questa ipotesi Dante attraversa l’Inferno durante la morte di Gesù e sbuca in Purgatorio all’alba di Pasqua.

5 aprile – Dante due volte nel Poema dichiara che uscì dalla selva oscura e iniziò il suo “cammino” in coincidenza del plenilunio post-equinoziale (dopo il 21 marzo), che nel 1300 non fu il 25 marzo o l’8 aprile , bensì al primo mattino del 5 aprile. Nel primo passo Virgilio, nel secondo giorno del viaggio, incita Dante a passare dalla quarta bolgia degli indovini alla quinta dei barattieri; gli dice di fare in fretta, perché la luna sta tramontando, e poi aggiunge:

«e già iernotte fu la luna tonda:
ben ten de’ ricordar, ché non ti nocque
alcuna volta per la selva fonda
». (If., XX, vv. 127-129)

Con questa data Dante trascorrerebbe la Pasqua di Resurrezione nell’alto dei cieli.

Recenti elaborazioni al computer effettuate dai Tecnici di Laboratorio di realtà virtuale a Bologna hanno permesso l’incredibile ricostruzione del cranio del Poeta, sulla base delle sue vere ossa, e hanno dimostrato che, sovrapponendo tale cranio a molti famosi ritratti di Dante, questi non corrispondevano!

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