1610 Bruzolo: “il gatto” e “la volpe” stipulano dei trattati che moriranno col re

Il Castello di Bruzolo, del XIII secolo, attraverso vari passaggi e infeudamenti era arrivato ai Grosso di Riva di Chieri, amici dei Savoia. Quando il duca Carlo Emanuele I ha bisogno di una sede per siglare l’alleanza tra i Savoia ed Enrico IV, re di Francia, il conte Cesare Grosso mette l’edificio a disposizione del duca per ospitare i plenipotenziari del re di Francia, il conte François de Bonne de Lesdiguières e il marchese Claudio de Bullion. Tra il 21 e il 25 aprile 1610 si stilano i due trattati che avrebbero forse cambiato la storia d’Europa. Il condizionale è d’obbligo perché Enrico IV viene pugnalato a morte il 14 maggio 1610 da François Ravaillac, in rue de la Ferronnerie a Parigi. Il disegno di una grande alleanza con l’Olanda, la Svezia, la Danimarca, i protestanti tedeschi e il Ducato di Savoia con cui Enrico IV contava di spezzare la tenaglia degli Asburgo, che controllando l’impero, la Spagna, le Fiandre e la Lombardia lo accerchiavano, finisce nella tomba col re. La vedova Maria de’ Medici, reggente del piccolo Luigi XIII, preferisce allearsi agli Asburgo, dà in sposa la figlia Elisabetta (promessa a Bruzolo al figlio di Carlo Emanuele I) all’erede al trono di Spagna e il duca di Savoia rimane col cerino in mano.

C’è in Firenze, a Palazzo Pitti, una tela di notevole pregio, dal titolo « il Convegno di Bruzòlo». Dipinta, su incarico di Vittorio Emanuele II nel 1870, dal pittore Giuseppe Bellucci, che si recò a Bruzolo per documentarsi.
Il Castello di Bruzolo e la sua cappella, immagine tratta da I castelli del Piemonte n. 17, T. Nicolini T. Forno, LEA, Roma, 1967. Nel 1227 Tomaso I di Savoia infeudò Bruzolo a Bertrandino di Montmélian.  
I suoi discendenti, i Bertrandi, lo ebbero sino al 1408.  
Furono poi feudatari di Bruzolo i Rivoire (1408-1530) e altri fra i quali i Grosso di Riva. Fu appunto il conte Cesare Grosso di Riva che ospitò Carlo Emanuele I e i plenipotenziari di Enrico IV di Francia guidati dal Lesdiguières per la firma dei trattati.

Carlo Emanuele I di Savoia, il gatto

È Il figlio d Emanuele Filiberto, il grande condottiero degli Asburgo, vincitore di San Quintino e capace di liberare il Piemonte dalla pesante presenza delle truppe francesi e spagnole e di lasciare al figlio uno stato riorganizzato e prospero. Spostando la capitale da Chambery a Torino il 7 febbraio 1563 Emanuele Filiberto ha anche indicato al figlio che non più la Savoia, ma il Piemonte deve essere il centro del Ducato e l’Italia frammentata la direzione in cui espandersi. Dopo la morte del padre, nel 1580, Carlo Emanuele I si muove irrequieto come un gatto in gabbia, impaziente di allargarla. Ha l’ambizione, ma non la sapienza strategica del padre, soprannominato “tèsta d’fer”, mentre Carlo Emanuele è giustamente detto “tèsta d’feu”: balza di qua e di là cercando di cogliere opportunità e traguardi che non sempre sono alla portata del piccolo stato sabaudo. Conta sul fatto che la Francia, che il massacro della notte di San Bartolomeo (24 agosto 1572) aveva precipitato nel caos delle guerre di religione fra i tre Enrichi, dovrebbe pensare ad altro che non a qualche territorio marginale e, giustificando la sua aggressività atteggiandosi a paladino del cattolicesimo contro ugonotti e calvinisti, assale Ginevra, ma viene respinto. Allora occupa a sorpresa il Marchesato di Saluzzo e, inebriato dal successo, pensa di espandersi oltralpe in una sorta di nuova crociata antieretica. Ma qui trova la volpe del Delfinato.

Carlo Emanuele I, duca di Savoia, ritratto da Giacomo Vighi.

François de Bonne de Lesdiguières, la volpe

Nato nel 1543, scampa con Enrico di Navarra al massacro di San Bartolomeo, e diventa comandante delle truppe protestanti del Delfinato. Esperto del territorio, amato dai soldati, astuto guerrigliero, le incursioni dei suoi «chevaux légers» logorano le truppe sabaude. Anche in campo aperto il Lesdiguières è vincente, varca il Monginevro e prende il forte di Exilles. Costretto a una tattica di contenimento, Carlo Emanuele chiede aiuto al suocero, Filippo  re di Spagna, che interviene solo quando i francesi, occupata la Savoia, marciano anche sul Marchesato di Saluzzo. Gli ispano-sabaudi li respingono e in questa situazione di stallo matura la Pace di Lione, il 17 gennaio 1601. Carlo Emanuele I si tiene Saluzzo e riottiene la Savoia, ma cede le terre transalpine della Bresse, del Bugey e di Gex. Uno scambio imposto, ma che si rivela favorevole al duca[i], compatta lo stato e lo orienta verso l’Italia, dove le mire espansionistiche dei Savoia trovano una frantumazione politica e non uno stato ormai compatto e rappacificato come la Francia di Enrico IV.  Questo re è passato alla storia come capace di rappacificare la Francia, grazie all’Editto di Nantes che sanciva la tolleranza tra cattolici e ugonotti, e di rilanciarne l’economia, grazie anche al ministro Sully. Un grande re che pensa solo al benessere dei sudditi e a riorganizzare lo stato stravolto dalle guerre di religione, un’immagine che si è fissata nella storia solo grazie all’attentato mortale del Ravaillac. Infatti Enrico IV aveva appena organizzato una grande coalizione antispagnola e si apprestava a scatenare una guerra paneuropea. L’ultimo tassello del mosaico antiasburgico era stato definito nel castello di Bruzolo.


[i] Carlo Emanuele annotò nei suoi Ricordi: «È molto meglio avere uno Stato solo, tutto unito, come è questo di qua dei monti, che due, e tutti e due malsicuri»

Fançois de Bonne de Lesdiguières
La sala dove vennero i firmati i trattati.

25 aprile 1610, Trattati di Bruzolo: se combatti ti sposo

Un vento forte e fastidioso frusta la Val Susa, ma non irrita gli animi. Plurimi contatti hanno reso l’incontro di Bruzolo quasi una formalità. L’età ha sopito gli ardori di Carlo Emanuele I di Savoia “testa di fuoco”, il Lesdiguières “la volpe del Delfinato”, carico di onori, non deve sfoderare particolari astuzie. I due ex nemici si sono combattuti, ma in fondo si stimano. Il Lesdiguières, governatore del Delfinato e neo Maresciallo di Francia, si addentra senza timore nelle terre sabaude (peraltro il confine correva allora a Chiomonte, distante poche decine di chilometri).  Carlo Emanuele, vedovo della moglie spagnola, è ormai saldamente nell’orbita francese, Enrico IV offre in sposa la figlia Elisabetta al figlio del duca, Vittorio Amedeo, e gli promette un sostanzioso aiuto per la conquista della Lombardia. Vengono dettagliati uomini e mezzi, la firma è una formalità. Le intestazioni dei due trattati segreti sono esplicite:

  1. Brusol – Traité de Ligue offensive et défensive entre Charles Emanuel due de Savoie, et Henry IV Roi de France contre Philippe roi d’Espagne.
  2. Brusol – Traité entre Charles Emanuel due de Savoie, et Henry IV roi de France, pour la conquête du duché de Milan.

L’Europa dei popoli nasce a Bruzolo e muore a Parigi

Secondo Federico Marconcini (Bruzolo e i suoi trattati, in Segusium, n. 2/1965) i Trattati di Bruzolo concludevano un percorso diplomatico, orchestrato da Enrico IV e dal suo ministro Sully, volto non tanto a guerre di casate e di ambizione, ma a disegnare una nuova Europa, di Stati autonomi federati, usando la lingua come parametro aggregatore. Un’idea lungimirante per l’epoca, che il pugnale del Ravaillac stroncherà sul nascere:

Quadro di Charles-Gustave Housez (1822–1894), che ritrae l’attentato mortale al re Enrico IV di Navarra e l’arresto del Ravaillac.

“Su quella eccessiva potenza austro-spagnola sta dunque meditando con serietà di propositi Enrico IV : e lo fiancheggia sagacemente il suo grande ministro Sully, uno dei « grands seigneurs qui firent la France ». Nel piano vagheggiato dai due personaggi, l’Europa dovrebbe subire una radicale riorganizzazione, sola capace di liberarla da quella pesante strapotenza: pesante e minacciosa. La riuscita di quel piano presenterebbe l’Europa come un complesso di Stati autonomi, così classificati: sei monarchie ereditarie (Francia, Piemonte con Lombardia, Inghilterra, Spagna, Svezia, Danimarca); cinque monarchie elettive (Polonia, Ungheria con le provincie austriache, Boemia, Impero Germanico, Stato pontificio con l’Italia peninsulare); quattro repubbliche (Venezia, Genova con Firenze, Paesi Bassi, Svizzera). Questo complesso di Stati europei avrebbe dovuto funzionare quasi grande repubblica, sulla base di un Parlamento comune o Consiglio supremo di Deputati rappresentanti di tutti gli Stati suddetti, al quale organo-vertice sarebbe spettato il compito di prevenire collisioni e ingiustizie fra Stato e Stato. L’elemento classificatore di questa nuova struttura d’Europa aveva da essere, nel pensiero di Enrico IV, la lingua; sì che, «riconosciuta alla Spagna la lingua spagnola e alla Germania la lingua tedesca, restasse alla Francia la lingua francese ». In virtù di una tal formula, alla Francia sarebbero andati il Belgio e la Franca Contea, la cui appartenenza alla Spagna non aveva ragion d’essere, e la Lorena: ma anche sarebbe andata la Savoia, per la stessa ragione che la Lombardia al Piemonte. (E qui vien fatto di pensare che il Duca Emanuele Filiberto aveva già compiuto due gesti non privi di significato: il trasferimento della Capitale del Ducato da Chambéry a Torino: e l’ordine impartito agli uffici dello Stato di adoperare negli atti la lingua italiana). Ovvio che un piano di tal vastità e imponenza non avrebbe potuto realizzarsi pregando la strapotenza bicipite di collaborare a codesta realizzazione. Senza un’adeguata azione di forza, il piano restava nell’ordine dei sogni. Né d’altra parte codesta adeguata azione poteva essere accollata tutta e soltanto alla Francia, per più di una ragione. 100 Occorrevano a Enrico IV solide e ferme alleanze: sia di neutralità sicure, sia di collaborazioni dirette e immediate. E sotto quest’ultimo aspetto, era al preconizzato re di Piemonte e Lombardia con parte della Liguria occidentale (il Principato di Oneglia e la Signoria di Tenda erano entrate nel Ducato di Savoia con Emanuele Filiberto), che Enrico IV doveva aprire le trattative del caso”.

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